MATRIOSKla

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mercoledì 31 agosto 2011

L Change the world

Terzo ed ultimo atto, diretto da Hideo Nakata e pubblicato nel 2008, della saga di Death Note.
Completamente avulso dai fatti narrati nei precedenti, L Change the world si può considerare come una sorta di spin off, di cui il personaggio di L costituisce l'unica grandiosa attrattiva. La trama di per sè non brilla per originalità, ma la tensione aumenta con lo scorrere del film soprattutto essendo consapevoli dell'avvicinarsi della segnata fine di L.
Dopo la morte di Watari, L deve salvare il mondo da solo dalla diffusione di un virus che potrebbe servire per controllare l'aumento della popolazione terrestre. Attraverso varie peripezie e con l'aiuto di due bambini al suo fianco, L sarà in grado di uscire ancora una volta vincitore da un conflitto intricato e nello stesso tempo banale.
Piuttosto l'interesse si muove, ancora una volta, attorno alla figura del suo personaggio. In questo terzo film, L diventa molto autoreferenziale e addirittura autoironico quando allontanandosi da Near, il bambino-genio, nella scena finale tenterà di raddrizzare la schiena. E' in quest'ultimo episodio di Death Note che si scoprono alcuni dei piccoli misteri di L. Ad esempio la sua mania di ingurgitare senza sosta dolci sarebbe dettata dall'esigenza del cervello di ricevere quanti più zuccheri possibili per poter funzionare bene.
Una fine gloriosa e predestinata attende L, da cui ci si separa sicuramente molto più tristemente che non da come ci si era separati da Light.
Sicuramente un successo cinematografico che vive sugli strascini dell'enorme risonanza di Death Note.

Il mio voto è 8/10.

Death Note - The Last Name

La saga continua con DEATH NOTE: The Last Name del 2006, sempre diretto da Shusuke Kaneko.

Decisamente molto più avvincente del primo, la storia si amplia e si complica ulteriormente grazie alla comparsa di un secondo Kira, in realtà Misa una ragazza che si fingerà la fidanzata di Light per incontrarlo e pianificare insieme le successive mosse per continuare a utilizzare il Death Note e per perpetrare il potere assoluto di Kira.
Light, però, forte della sua astuzia riesce a infiltrarsi nel team che sta dando la caccia a Kira e ad affiancare L nelle ricerche in modo da far cadere ogni sospetto contro di lui.
La trama si fa sempre più intricata e la figura di Light emerge priva di ogni scrupolo e sprezzante di ogni rischio. L non demorde e diventa, in questo secondo atto, una figura ancora più dominante che nel primo.
Light invece si mostra nella sua totale mancanza di morale, tanto da arrivare ad essere disposto ad uccidere il proprio padre. Da questo punto in avanti sembra quasi inevitabile prendere le parti di L, del quale si delinea una sagacia e un'intelligenza fuori dalla norma. La figura di L diventa molto più affascinante e bizzarra: volto inespressivo, sguardo sospettoso, la schiena piegata su se stessa, i piedi scalzi e una passione disgustosa per il cibo ricco di zuccheri disegnano il suo personaggio proprio come se stesse uscendo fuori da un manga e lo rendono quantomai attraente.
Questo secondo live action è certamente molto più consistente del primo e cattura grazie ad una trama molto più corposa. Il finale è mozzafiato.

Il mio voto è 9/10.

Capo Mannu: uno spot per veri surfisti

Nonostante i 159 chilometri che separano San Teodoro (OT) e la località di Potzu Idu in provincia di Oristano, per un totale di 2 ore di macchina, durante le vacanze di mare in Sardegna ho trovato una giornata per andare a vedere il famoso spot surfistico più bello di tutto il mediterraneo.
Capo Mannu è quel lembo di terra del centro-ovest della Sardegna che si inoltra nel mare aperto e che viene schiaffeggiato da onde che arrivano fino a 5 metri nei giorni di maestrale.


Di solito infatti è così ...









Purtroppo, come vedrete dalle fotografie, la mattina del 25 agosto scorso era una delle giornate più calde e limpide delle ultime due settimane. L'alta pressione ha favorito una calma piatta proprio come una tavola. Nessun surfista nei dintorni, ma molti segni. Ad esempio alcuni cartelli indicavano Capo Mannu come una High Surf Area, anche se non indicavano esattamente dove fosse lo spot. Dopo qualche giretto panoramico finalmente si capisce dove andare. Giunti a Potzu Idu si prosegue finchè la stra principale non svolta a sinistra e l'asfalto lascia il posto alla strada sterrata, che guida fino al Capo.  Più avanti ci si trova davanti ad un bivio. Il sentiero di destra porta verso il il punto di osservazione del faro e quello di sisnistra verso una scogliera molto suggestiva, davanti alla quale si apre il Mar Mediterraneo.  Le rocce sono erose e friabili proprio sullo strapiombo e io per il momento posso solo immaginare quale magnifico spettacolo i surfisti provenienti da tutto il mondo siano qui in grado di dare.

Nonostante la calma piatta mi ha fatto piacere mettere piede in questo posto sacro almeno per noi mediterranei amanti del surf. Di certo non avrei potuto provare a farmi la mia lezione da autodidatta come avevo fatto l'anno scorso a Isola Rossa vicino Sassari ( altro bello spot). Temo che per quest'estate dovrò risparmiarmi quell'enorme sforzo fisico che è stato tentare di salire in piedi su una tavola. 
La gita si è conclusa con una sorta di caccia al tesoro per trovare un ristorante consigliato d aun ragazzo del posto che si chiama 'Lo scivolo'.

Ambiente spartano e atmosfera da surf, cibo buono soprattutto la frittura di pesce e ovviamente immancabile la vista sul mare.

martedì 30 agosto 2011

Sade in concerto a Chicago - sabato 6 agosto 2011

Sabato 6 agosto mi trovavo a Chicago. Nonostante la magniloquente organizzazione americana fosse tutta concentrata ad accogliere uno dei festival musicali più noti del pianeta come il Lollapalooza Festival, io avevo già acquistato il biglietto per un concerto alla United Center Arena, che prevedeva l'arrivo di Sade. 
Entrare nel United Center, che di solito ospita le partite casalinghe dei Chicago Bulls e dei Blackhawks era già di per sè un'esperienza.

Lo spettacolo inizia alle 19.30 e mentre sono all'ingresso dello stadio sono attratta dal look del pubblico, prevalentemente afroamericano, che si è presentato all'appuntamento vestito in pompa. Tutti sembravano invitati a un matrimonio: completi chiari in contrasto con la pelle scura, cravatta sgargiante per gli uomini, tacchi alti e vestito variopinto con tanto di appariscenti accessori per le donne.
Certo non era il clima da concerto rock, ma piuttosto quello di una rilassante serata galante, che avrebbe offerto musica di qualità.
Nonostante il 'passo' alla birra Bud Light per dieci dollari a bottiglia, mi sono intrattenuta per buona parte della performance di sostegno di John Legend, con Pepsi e popcorn ben imburrati.
Come spesso mi capita quando mi trovo negli Stati Uniti, tutto sembra semplice. Si fa vedere un biglietto, nessuno spinge o sbraita, si cerca la fila contrassegnata del proprio posto, si cammina lungo il perimetro dell'interno dello stadio, che sembra lucido come l'ingresso di un condominio residenziale di lusso e ci si accomoda senza stress sulla propria poltrona.
Ecco davanti a me il campo dello United Center che di solito vedo gremito di gente, raccolta attorno ad un rettangolo giallo pieno di giganti della pallacanestro al galoppo come matti, mentre fuori immagino che imperversi il gelido vento di Chicago. Dal soffitto pendono le bandiere che ricordano i successi più importanti delle squadre di casa. Più oltre il palco.

Con una versione personalizzata di 'Rolling in the deep' di Adele, inizia a cantare John Legend, che da lontano mi ricorda una versione odierna di Lionel Richie, sia nello stile che nel tipo di musica. Un ottimo éntree per scaldare gli animi e per invogliare la gente a ballare, come la simpatica signora di colore seduta due poltrone più in là da me, che in una trance ipnotica, tiene il ritmo mimando il gesto di mescolare il minestrone con due mani ai bordi di un immenso pentolone.
La gente è in fermento, nonostante John si dia da fare, sono tutti tesi per l'arrivo dell'ospite d'onore, che si fa attendere fino alle 21.15.

Come da mio pronostico, si comincia con uno dei più recenti successi Soldier of love, bella hit elettro-dance dal ritmo incalzante, tratta dall'ultimo disco omonimo del 2010. Dopo la prima performance la Signora Helena Sade Adu, saluta il pubblico con la sua caratteristica voce conturbante e dannatamente sexy intonando un passo famosissimo della sua Smooth Operator...'coast to coast LA to Chicago', ovviamente per rendere omaggio alla città ospitante.
Ancora in splendida forma fisica e carica di un fascino tipicamente esotico, con una coda di capelli corvini lunghissimi e avvolta da una mise rigorosamente attillata e nera, inizia a cantare i suoi vecchi e nuovi successi. Tra questi ultimi la malinconica Bring me home e le ultime hit del Greatest Hits uscito pochi mesi fa, tra cui Love found.
Dei classici successi nessuno manca all'appello: Smooth Operator, Your love is king ammaliante dal vivo come nell'originale, la notturna Jezebel, la ballabile The sweetest taboo e Is it a crime?, la super romantica No ordinary love   e ancora Kiss of life e Cheerish the day. Immancabile ovviamente By my side quasi in chiusura.
Due ore di concerto da godere tutte fino in fondo, qualcuno sugli spalti è addirittura rimasto in piedi tutto il tempo a ballare come un matto - neanche fosse musica punk - completamente fuori tempo persino sulle delicate note di No ordinary love. Davvero bizzarro e divertente data la dolce età over 50 del curioso ballerino.

Uno show privo di momenti discendenti, giostrato con sicurezza ed esperienza da Sade, sinuosa come i melliflui passaggi di sax, che sempre costituisce la perla della musica di questa grande cantante ormai nell'olimpo.
Chicago è stata indimenticabile anche per questo concerto.


La giungla - Upton Sinclair

Il sottotitolo recita 'Il romanzo che ha fatto tremare il capitalismo americano'.

Jurgis Rudkus è un immigrato lituano che approda in terra americana di inizio secolo in cerca di un futuro radioso e di libertà. Ma lui, come migliaia di suoi uguali, non è altro che una vittima sacrificale da sfruttare in una delle fabbriche dell'infernale quartiere di Chicago chiamato Packingtown.
Dal verbo inglese to pack, cioè impacchettare, il quartiere ingurgita i propri lavoratori, così come il consumatore divorerà il prodotto finito delle sue fabbriche, ignaro delle terribili condizioni lavorative a cui sono sottoposti i dipendenti. Con l'infrangersi del sogno di libertà e la distruzione della sua famiglia, Jurgis prenderà mano mano coscienza delle proprie possibilità e riuscirà a salvarsi solo aderendo al movimento socialista.
Considerato come un piccolo capolavoro del giornalismo di denuncia, quando La giungla fu pubblicato nel 1906, ebbe una tale risonanza, per via delle scabrose rivelazioni sugli abusi dell'industria della carne, tanto da costringere l'allora presidente Theodore Roosevelt ad aprire un'indagine. Ancora oggi rimane un feroce atto d'accusa contro uno dei molti orrori del capitalismo.

   ' Lo scalpore suscitato dal libro di Sinclair indusse il Congresso a emanare una legge per la sicurezza dei prodotti alimentari. Si fece poco, tuttavia, per migliorare la vita dei lavoratori, le cui disgrazie avevano ispirato Sinclair'

Eric Schlosser, autore di 'Fast food nation' 

Ho letto questo libro prima di partire per Chicago. A posteriori, dopo aver visto i luoghi più belli della città, direi che poco sopravvive di quei tempi e di quelle atmosfere. Non so dire cosa sia peggio, se pensare che la storia di Jurgis non esista più perchè non ci sono più speranze per un vero e proprio sogno americano - dato che gli Stati Uniti cadono a pezzi - o se pensare che quello che un tempo facevano un paio di braccia umane adesso lo fanno i robot. In ogni caso la storia si ripete, forse in altri paesi del mondo e con uomini di altre nazionalità, forse con aspettative di vita superiori. 
La scrittura di Upton Sinclair, fitta, minuziosa, dettagliata e priva di ogni poesia, perfettamente idonea alla rassegnazione congenita del protagonista, non è affatto banale, nè pedante, al contrario, trascina in un labirinto di disgrazie umane e sociali e apre le porte sul retro di realtà dimenticate. Un gran bel libro nel suo genere.

Voto: 7/10

lunedì 29 agosto 2011

Chicago: una giovane città futurista

Eccomi, sono tornata. Dalle meritate vacanze al mare, nella terra di Sardegna e soprattutto dal mio viaggio a Chicago. Sono entusiasta della mia settimana trascorsa in questa vivace, fiorita, giovane, moderna e molto americana città. 
Se qualcuno dovesse chiedermi che cosa ti è rimasto impresso di Chicago, direi tre cose.
La prima è la sensazione di essere in una città molto vivibile da turista. Tutto quello che non si può mancare di visitare è raccolto in un'area piuttosto piccola chiamata Loop. La sua delimitazione comprende tutte le principali attrazioni: il Millennium Park, il Cloud Gate Park con il famoso Bean (opera dello scultore Amish Kapoor dedicata alla città ), le Crown Fountains, il Magnificent Mile, il Navy Pier, ma anche la Bukingham Fountain, il John Hancock Center e il Chicago river con i suoi battelli. Insomma, una sensazione di avere tutto a portata di mano e tutto a pochi isolati di distanza. Non ho mai preso un mezzo pubblico, se non per fare un giro panoramico e turistico sulla famosa EL, la metropolitana sopraelevata che gira in tondo per la città. Sarebbe riduttivo dire che Chicago è piccola, ma da visitatore questo è ciò che mi ha colpito piacevolmente.

La seconda cosa che mi ha affascinato è stato vedere il lago Michigan e giunta al molo del Navy Pier, quando mi sono fermata e seduta su una panchina, contro di me, nonostante fosse una splendida giornata estiva, sbatteva un vento quasi spaventoso. Solo a quel punto ho capito che cosa potesse essere Chicago d'inverno e perchè venga chiamata la Windy City (anche se in realtà questo nickname ha altre origini e non metereologiche). La terza cosa che ho amato, e della quale non ero mai sazia, è stato ammirare l'architettura futurista, elegante, talvolta aliena di questa città. Mi sono resa conto di aver passato gran parte delle mie giornate a guardare in alto. I grattacieli sono un'opera d'arte, ognuno è diverso dall'altro e ha una propria personalità. Grazie alla gita in battello, dove a bordo si trovano architetti che illustrano la storia di ogni singolo edificio che meriti attenzione (e non), ho scoperto decine di cose interessanti.

Ho una top 3 anche per i grattacieli che mi sono piaciuti di più. Il primo è in realtà una coppia di torri chiamata Marina City e costruita negli anni 60. All'epoca fu acclamata come 'una città nella città' e doveva fare concorrenza ai placidi quartieri suburbani. All'interno esistono vere e proprie residenze, ristorante, palestre e negozi. Ad oggi ricordano due simpatiche e allo stesso tempo strane pannocchie. Mi piacciono perchè si distinguono moltissimo da tutto il resto. Caso ha voluto che una di esse me la ritrovassi proprio davanti alla finestra dell'hotel dove alloggiavo.






Di notte diventano così...



Il secondo posto va al grattacielo che si chiama Aqua. Costruito in modo tale da sembrare costantemente ricoperto da una cascata d'acqua, se date un'occhiata ravvicinata vedete quali giochi architettonici permettono questa spettacolare ed unica visione.





Infine il terzo posto va allo Smurfit-Stone Building. Il grattacielo con la testa di diamante, così come lo chiamano, è costituito in realtà da due parte superiori asimmetriche. E' bellissimo soprattutto di notte e vicino al famoso 'fagiolo' di Amish Kapoor.







Ogni angolo di Chicago ha il suo fascino, per questo lascio parlare le mie foto, che spero possano rendere merito alla bellezza di questa città.